20 ott 2011

"Quelle immagini che parlano di Dio". Le icone di Giovanni Messuti

Giovanni Messuti al lavoro
"Il bello è quello che c'è dietro". Giovanni Messuti, seminarista originario di Senise, nel 2007 sapeva appena cosa fossero le icone. Lo colpivano, lo affascinavano, nulla di più. Gli interessava altro, in particolare la teologia, che aveva già scelto di studiare in Seminario a Potenza.
Fino a quando, dopo aver osservato alcune immagini sul web e aver approfondito la questione, non scoprì che le due cose (teologia e iconografia) erano inscindibili, che un’immagine poteva racchiudere in sé un trattato, che uno sguardo, una posa, un simbolo, possedevano un immenso potenziale comunicativo. Scoprì, insomma, che anche le icone erano, a loro modo, teologia.
All’inizio fu curiosità, dopo poco divenne passione. Provò subito a dipingerle da solo, ma capì presto che il talento non bastava: era necessaria una Scuola, in cui apprendere le rigorose nozioni tecniche che sono alla base della particolare forma d’arte.  Prese così la decisione di seguire un corso del Maestro Giuseppe Bottione. “Un’esperienza straordinaria, anche per la verifica della mia vocazione” racconta oggi Giovanni. Dopo pochi mesi di corso era in grado di realizzare le sue icone.
Oggi, a distanza di qualche anno, alcune sue immagini sono già raccolte in un’antologia iconografica pubblicata in Russia. E’ possibile ammirare la sua opera in una bellissima mostra itinerante, che abbiamo potuto visitare a Marconia nella Chiesa dell’Annunciazione e che spesso porta in giro per le parrocchie lucane. Giovanni ama disporre le icone in forma circolare, in sale ampie.  Non mancano pannelli introduttivi al senso stesso dell’iconografia e alla sua storia. “Perché un'icona, senza introduzione al contenuto profondo, non esprime tutto il suo valore”.
E così tutto si fa più chiaro quando si osserva la bellissima icona della Madre che abbraccia il Figlio, e si scopre che è una raffigurazione canonica,La madre di dio della tenerezza” (Eleusa): il suo abbraccio tenero è l’immagine del riverbero dell'amore e del dolore di Dio. Il divino mostra così la sua natura (l’amore per l’uomo, in questo caso) attraverso le immagini. Come nell’icona della “Madre di Dio” (Odighitria - Colei che indica la via) con un Gesù adulto e benedicente, a rappresentare la sua regalità, la sicurezza del suo potere benigno.
Giovanni non nega al visitatore qualche dettaglio tecnico sulla realizzazione. Come quando gli si chiede del particolare cartello in cui è scritto “tempera all'uovo”. “E’ una tecnica antica di pittura – spiega - un composto di tuorlo d'uovo con vino bianco, da cui viene fuori un ulteriore composto che si emulsiona con pigmenti in polvere di origine minerale o vegetale”.
Al contrario di quanto si pensi, del resto, quella delle icone è una tradizione meno lontana dalla nostra cultura rispetto a quanto si pensi. Giovanni lo spiega con orgoglio: "E' una tradizione che pochi ricordano, anche perché da Giotto in poi siamo andati verso un'altra direzione. Fino al  1300 circa, però, siamo stati molto bizantini anche noi. Basta entrare nel santuario di Anglona per averne una chiara dimostrazione”.
Gli chiediamo quale sia l’opera a lui più cara, tra le tante esposte. "E' il Battesimo di Gesù – risponde con decisione -  volevo realizzarla subito per il valore di questo Sacramento, come gesto di umiltà da parte di Gesù, che vorrei fare mia, pur con tutti i limiti umani".  E’ una risposta che colpisce. La dice lunga sul sentimento con cui crea, sul suo desiderio comunicativo. Quelle opere parlano di Dio, e perciò parlano dell’uomo, del singolo uomo. Parlano anche di lui. L’iconografia è fatta di canoni, non schemi. E’ apertura, non chiusura. Ampliamento dello sguardo, come tutto ciò che parla di Dio.

Pino Suriano - pubblicato sul Quotidiano della Basilicata del 9 ottobre 2011

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