Si fa più chiara la nebulosa vicenda dell’assoluzione di Angelo Falcone e Simone Nobili. I due giovani erano stati arrestati il nove marzo del 2007 nell’Himacal Pradesh indiano. Nell’agosto del 2008 una sentenza in primo grado li aveva giudicati colpevoli e condannati a dieci anni. Nel dicembre 2009 un’altra corte ha ribaltato quella sentenza, ritenendo prive di fondamento le accuse della polizia nei loro confronti.
L’Italia aveva gioito con loro per l’assoluzione del 3 dicembre. Tante domande, tanti dubbi, però, erano subito venuti alla mente. A generarli, del resto, erano state anche le generiche dichiarazioni del Ministero degli Esteri, che aveva parlato di assoluzione senza neppure il minimo riferimento alla sentenza, al suo contenuto e alle sue ragioni.
Ci si chiedeva, infatti: su che base erano stati assolti? Perché la loro assoluzione non aveva condotto alla conseguente imputazione dei poliziotti, che i giovani avevano accusato di estorsione? E quali nuovi elementi aveva ravvisato l’Alta Corte rispetto a quella che, poco più di un anno prima, li aveva condannati a dieci anni? E perché, da uomini liberi, non potevano ancora lasciare l’India?
Tanti legittimi quesiti, ancora senza una risposta chiara. A diradare la nebbia, almeno in parte, arriva ora il racconto dello stesso Angelo. Ne sintetizziamo i contenuti, sempre in attesa di successivi riscontri, che abbiamo già chiesto all’ufficio stampa della Farnesina.
IL CONTENUTO DELLA SENTENZA DI ASSOLUZIONE – L’Alta Corte di Shimla non ha accolto in tutto e per tutto la tesi della difesa e dei giovani, secondo cui Angelo e Simone sarebbero rimasti vittime di un tentativo di estorsione. Tale eventualità avrebbe comportato, come conseguenza, l’imputazione dei poliziotti autori dell’estorsione. La ragione dell’assoluzione pare essere, perciò, un rispetto non pieno delle procedure di arresto imposte dalla legge indiana.
Pino Suriano - pubblicato sul Quotidiano della Basilicata il 19 febbraio 2010
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