10 nov 2009

Toglietelo pure, se vi va

Commento sulla sentenza europea del Crocefisso

Articolo pubblicato sul Quotidiano della Basilicata del 4 novembre 2009

Che tolgano pure il crocefisso dalle scuole, come ha stabilito l'altro ieri la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. In fondo è solo un oggetto, un simbolo, come molti dicono. Potrebbe essere un bene. La sua presenza scontata e quasi "sputtanata" ci induce spesso a dimenticare che quell'uomo, duemila anni fa, i chiodi li ha avuti davvero, che quell'immagine non é appena il quadretto utile per qualche bella riflessione morale, ma un fatto vero, accaduto, che sfida in ogni istante la nostra vita e il nostro destino di mortali. Non credo che interesserebbe troppo, a un tale che ha detto di essere la “salvezza di ogni uomo”, vedersi difeso come uno dei tanti "simboli culturali".

Lo tolgano pure! Ciò che non potranno mai togliere, a colpi di sentenze, è quel poco che resta della coscienza cristiana nelle scuole: alunni e insegnanti in carne e ossa che vivono la scuola a partire dalla fede e dalla sua capacità di determinare la vita. Tutto ciò, poiché alberga nell'umana coscienza, è di fatto inestirpabile.

Anzi, la mancanza di potere, simboli e appigli formali costringe sempre a una maggiore serietà di fondo. Mai come nei momenti in cui è perseguitata o combattuta, infatti, una proposta religiosa è spinta a fare i conti con la propria “convenienza” e, perciò, ad approfondirsi e svilupparsi: è accaduto con le persecuzioni degli imperatori romani, è riaccaduto nel secolo scorso sotto la dittatura sovietica.

Questa valutazione sull'intangibilità dell’esperienza cristiana e della Chiesa, però, non può esimerci da un paio di giudizi sulle ragioni che hanno determinato la sentenza. Si tratta, con tutta evidenza, di ragioni ideologiche, che nascono da un essere “contro” qualcuno o qualcosa, in questo caso la Chiesa, e non da un dato di fatto della realtà.

Basta un minimo di buon senso per vedere quanto sia innocente quella presenza nelle aule, simbolo del riconoscimento di un popolo in una storia, più che strumento dell'intento “persuasivo” della Chiesa. Non è certo con un simbolo, evidentemente, che si persuade qualcuno al riconoscimento di una religione o di un'istituzione. Per fare questo servono educatori che le esprimano e le incarnino con il loro stile di vita, tanto da risultare attraenti per i giovani. E ciò, naturalmente, vale tanto per il crocefisso quanto per la foto del Presidente della Repubblica (anch’essa affissa in molte aule). Altro che simboli!

Parliamoci chiaro, perciò. Dietro questa presunta battaglia di progresso non c'è veramente la sofferenza di una povera ragazzina "violentata" da quella croce nel suo diritto alla libertà di coscienza. Ci sono un padre e una madre agguerriti, con alle spalle studi legali ferratissimi e importanti associazioni. E c'è una Comunità Europea che non perde occasione per affermare e imporre la propria concezione di laicità formale e senza contenuti.

Si tratti di soggetti che traggono alimento da una cultura che, se inizialmente nasce da un legittimo dissenso dalle posizioni dalla Chiesa, si traduce spesso in un fastidio per la sua stessa presenza e la sua capacità di incidere nello spazio pubblico. Da qui è breve il passo a un sentimento di ostilità, che si esprime anche quando non ve ne siano le ragioni. Si arriva, molto spesso, a godere e gioire per ogni disavventura, incoerenza o scandalo interno alla Chiesa. Esiste ormai, addirittura, un vero e proprio filone culturale che si nutre di questa enfatizzazione dei suoi limiti umani: film, documentari; libri, siti, associazioni, etc.

È da questa cultura che nasce l'attacco all'innocuo crocefisso: lo attaccano, in apparenza, come simbolo religioso. In realtà, però, dà fastidio come simbolo di quella determinata religione e di quella determinata istituzione. Faremo bene ad ammetterlo presto: certe battaglie sono battaglie di ostilità e non di autentico progresso. E perciò, come tutte le cose che nascono “contro” qualcosa e non "per" qualcosa, sono destinate a distruggere senza costruire.

Pino Suriano

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