27 ago 2008

Giovanni Falcone: in Procura contro lo stato indiano e italiano

Il padre di Angelo deciso a procedere per gli inadempimenti dei due stati

ROTONDELLA - Giovanni Falcone ci attende a casa in mattinata. Il luogo è d’obbligo, perché è lì che dovrebbe arrivare una telefonata molto attesa. E’ quella dell’Ambasciata Italiana in India, che comunicherà le novità sulla sistemazione del figlio nel nuovo carcere di Nahan.
Sono passat
i due giorni dalla sentenza di condanna a dieci anni per Angelo Falcone e l’amico Simone Nobili, accusati di possesso e spaccio di stupefacenti nello stato indiano dell’Himacal Pradesh. Una condanna che pesa come un macigno, ma non ha fiaccato del tutto le speranze del padre. “Anzi, semmai mi ha reso più audace, perché adesso non abbiamo davvero più nulla da perdere” spiega Giovanni Falcone, deciso a dare una nuova marcia alla sua lunga battaglia per la liberazione del figlio.
La nuova strategia prevede un passo importante. Nei giorni prossimi, affiancato da un avvocato italiano, Falcone si recherà in Procura a Matera per depositare un esposto con cui dovrebbe chiamare in causa lo stato indiano e lo stato italiano: il primo per non aver rispettato alcune convenzioni internazionali in caso di fermo a cittadini stranieri; il secondo, di conseguenza, per non aver tutelato i diritti dei suoi cittadini.
“Fino ad ora sono andato avanti con le parole – spiega – ora bisogna cominciare a mettere nero su bianco. Secondo la Convenzione Internazionale di New York, infatti, gli stati che fermano cittadini stranieri devono dare immediata comunicazione dell’arresto e delle sue motivazioni all’Ambasciata dello stato cui appartenga il cittadino fermato. Inoltre, a loro non sono stati forniti, come previsto, né un traduttore e né un avvocato, in fase di interrogatorio nei primi atti e neppure dopo, nella fase istruttoria. Sono deciso a portare il caso ovunque, anche alla Corte di Giustizia Europea”. Dopo la battaglia politica e mediatica, insomma, per Giovanni Falcone inizia la battaglia giudiziaria.

L’altra battaglia giudiziaria, quella decisiva, si svolgerà in India. Quando ha sentito per l’ultima volta suo figlio?
E’ stato sabato mattina, subito dopo la sentenza. Pensavo di trovarlo a pezzi e invece mi ha subito detto: “papà dobbiamo assolutamente andare in appello”. E’ un bene che riesca a guardare al futuro senza disperare. Dopo sabato non è stato più possibile sentirlo, pare che nel nuovo carcere ci siano regole particolari. L’Ambasciata, che ha già parlato col vice-direttore della prigione, mi ha detto che sarà possibile sentirlo solo “di tanto in tanto”. Ma cosa significa “di tanto in tanto”? Non possiamo mica fare la fine di Giuseppe Ammirabile (detenuto italiano in Brasile, che dichiarò su Repubblica di non avere avuto contatti con la famiglia da due anni, ndr.)?
Ha saputo qualcosa sulla sentenza di condanna?
Assolutamente no! L’Ambasciata continua a dire che la invierà presto, ma io non ho ancora ricevuto nulla. Anche questo non sembra strano? I due ragazzi sono stati condannati a 10 anni ma neppure una volta, durante tutto il processo, è stato portato il corpo del reato, i famosi 18 kg che avrebbero trasportato secondo la polizia. Neppure gli avvocati difensori li hanno visti mai. Capite?
Gli avvocati! Se andrete in appello li cambierete?
Quasi certamente sì. L’anno scorso ci rivolgemmo a loro perché gli altri avevano costi troppo elevati (circa 65 mila euro più spese), ma dopo questa disfatta giudiziaria ci tocca subito correre ai ripari per garantire una maggiore qualità della difesa.
E come farete a pagare quelli nuovi?
Sono deciso a chiedere anche contributi pubblici. Ripeto, fino ad ora ho solo parlato su giornali e televisioni, ma ora è venuto il momento di mettere tutto nero su bianco: invierò una formale richiesta di contributo alla Regione, alla Provincia e allo Stato Italiano. Mi dovranno rispondere sì o no!
Facendo un bilancio, chi ti ha aiutato maggiormente?
Confermo quanto è stato scritto sul Quotidiano di sabato, e cioè che la risposta della Basilicata è stata molto più forte rispetto a quella della politica e dei media di Piacenza. Lì solo il consiglio provinciale e regionale hanno approvato documenti in merito, e qualche organo di stampa come Libertà, Cronaca di Piacenza e Gazzetta di Parma. E poi, in particolare, c’è stata la vicinanza del parlamentare di An Tomamso Foti.
E invece in Basilicata?
Qui mi hanno aiutato tantissimo, tranne la Chiesa, come ho scritto più volte. In particolare il consigliere Disanza, ma anche molti altri politici e parlamentari, che sul caso hanno presentato specifiche interrogazioni. Però adesso chiedo di più. Voglio io stesso una audizione in Parlamento alle Commissioni Esteri e Giustizia: voglio dire chiaramente tutto quello che lo Stato Italiano ha fatto in altre occasioni di detenzioni all’estero ma non nel caso di mio figlio.

Pino Suriano - Il Quotidiano della Basilicata

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