23 ago 2008

Il caso Falcone e la reazione lucana

L'editoriale sulla sentenza di condanna per Angelo Falcone
Il caso Falcone-Nobili non è propriamente un caso lucano. Angelo Falcone, che è nato e vissuto a Bobbio in provincia di Piacenza, veniva in Basilicata solo qualche volta per far visita a papà Giovanni, separato dalla moglie. Simone Nobili, l’amico arrestato insieme a lui, con la Basilicata non aveva nulla a che fare.Eppure, proprio in relazione a questo dato, alcuni fatti risultano sorprendenti. In Emilia, per loro, hanno fatto ben poco: il consiglio provinciale di Piacenza e il consiglio comunale di Bobbio hanno redatto e approvato un documento di solidarietà e promessa di impegno, mentre un solo giornale (Libertà) ha seguito il caso con attenzione quotidiana. Poi, a quanto ci risulta, solo qualche altra sporadica attenzione da parte dei politici. In Basilicata, al contrario, è stato fatto di tutto e di più. Numerosi parlamentari lucani si sono interessati alla vicenda con specifiche interrogazioni, il presidente De Filippo ha interessato del caso l’allora ministro degli Esteri D’Alema, il difensore civico Aprea ne ha scritto al presidente Napolitano, l’europarlamentare Pittella lo ha presentato di persona a Enrico Letta quando era candidato alla segreteria del Pd, il consigliere regionale Disanza (Pd) ha addirittura aiutato Giovanni Falcone in alcune concrete situazioni legate ai rapporti con l’ambasciata e gli avvocati difensori.Per non parlare della stampa e delle televisioni locali. Noi del Quotidiano abbiamo raccolto per primi lo sfogo di papà Giovanni, per primi abbiamo trascritto le telefonate di Angelo dalla prigione di Mandi e per primi, tra i giornali, abbiamo pubblicato i “discussi” verbali della polizia indiana. Con simile attenzione si sono dedicati al caso gli altri quotidiani, le televisioni e le radio lucane. E’ lucana anche la prima cronista che ha portato il caso alla ribalta nazionale (Angela Mauro su Liberazione), così come è lucano il cantautore che per Angelo ha addirittura scritto una canzone, Pino Battafarano. Né si possono tralasciare le tante associazioni che alla vicenda hanno dedicato eventi culturali e le diverse amministrazioni comunali che hanno approvato specifici ordini del giorno. Tutto questo la dice lunga sulla nostra volontà di esserci. Forse anche su una certa smania di visibilità, ma soprattutto su un sano desiderio di protagonismo e su una sana dimensione comunitaria di quel che accade accanto a noi. A Rotondella il caso di Angelo è stato da subito discusso e sentito da tutta la comunità, ieri frastornata dalla notizia della sentenza. Un abbraccio di questo tipo, al nord, forse non esiste come da noi!E’ bello poterlo affermare con orgoglio, anche in un momento drammatico come questo, a poche ore dalla condanna dei due a 10 anni di carcere. Così come è bello richiamare i meriti e il coraggio di Giovanni Falcone, padre di Angelo. Lui sì, lucano, che è nato e vive a Rotondella. Quando si diffuse la notizia dell’arresto, nel marzo 2007, sapeva a stento maneggiare il computer. In meno di una settimana era diventato esperto navigatore della rete e uomo di comunicazione, sapeva raccogliere informazioni da ogni dove, conosceva tutti i siti specializzati su notizie asiatiche e aveva cominciato a curare il suo blog www.giovannifalcone.blogspot.com. Non ha fatto nessun Master in Comunicazione, eppure ha preso il caso di Angelo e lo ha trasformato in un caso nazionale, con continue mail e telefonate a cronisti, politici e rappresentanti di associazioni. Lo ha portato nelle più seguite trasmissioni televisive (Festa Italiana, Piazza Italia di Giancarlo Magalli, Stella di Maurizio Costanzo, etc.), nei maggiori quotidiani nazionali (Repubblica, Libero, La Stampa, L’Indipendente, etc.) e addirittura in un Convegno alla Camera con l’on. Marco Zacchera. Negli ultimi tempi, con le conoscenze acquisite in questo anno e mezzo di “travaglio”, si è fatto anche promotore di un più ampio movimento di opinione per i destini di tutti i tremila italiani detenuti all’Estero.Non sempre ho condiviso le posizioni di Giovanni Falcone, prima tra tutte la sua “pretesa” di intervento della Chiesa locale e non solo, espressa con diverse lettere ad alcuni quotidiani. Personalmente credo che dalla Chiesa, non trattandosi di un ente pubblico, nessuno abbia il diritto di pretendere alcunché. Né si può pretendere di imporLe qualcosa sulla base di una presunta (e spesso malintesa) idea di moralità evangelica. A questo giudizio (che è dirimente e meriterebbe una più lunga argomentazione) si aggiunga che il caso Falcone è un caso giudiziario, semmai diplomatico per alcuni controversi aspetti dell’arresto, ma non mi sembra un caso cosiddetto “umanitario” tra quelli generalmente di interesse della Chiesa. Non faccio fatica, però, a leggere questa “pretesa” di Giovanni nell’orizzonte di una rabbia forte e di una comprensibile richiesta di aiuto a 360 gradi. Anche per questo non si scalfisce una certa stima nei suoi confronti. Ciò che più ricorderò di Giovanni, sul piano umano, è l’sms che mi inviò qualche mese fa, quando per la prima volta si recò in India per far visita al figlio. Poche parole semplici: “Oggi ho riabbracciato Angelo. E’ stato bello! Siamo stati così… non so per quanto tempo. Sta bene e vi saluta tutti”.
Fu un impeto di gioia che sembrava aver fatto fuori ogni rabbia, pur comprensibile, per la condizione di suo figlio. Mi aveva sempre parlato da arrabbiato, ma quella volta non fu così. Non mi comunicò, come al solito, le condizioni di Angelo, la sua attività per tirarlo fuori o i luoghi in cui lo aveva trovato. Mi comunicò semplicemente la sua gioia per averlo rivisto. Dopo circa sei mesi capii che in quella vicenda, oltre a tutte le possibili implicazioni politico-diplomatiche, c’era anzitutto il dolore drammatico di un padre per un figlio. Ed è questo dramma che voglio portare sotto gli occhi di tutti, oggi che il caso si amplifica per l’esito della sentenza. Così come voglio ricordare che non tutto è perduto, e che forse, come Giovanni Falcone va dicendo da tempo, non tutto è stato fatto. Sono interessanti, in tal senso, le parole pronunciate ieri dall’onorevole Zacchera, Presidente del Comitato Italiani nel Mondo della Camera dei Deputati: “Sul caso di Angelo Falcone – ha detto a News Italia Press - si potrebbero riempire pagine intere di giornali su cosa sarebbe stato possibile fare e non si è fatto, nonostante il mio personale impegno e quello di altri colleghi parlamentari”. Insomma, non tutto è finito e si può ancora fare qualcosa. Forse anche da “quaggiù”.

Pino Suriano - www.ilquotidianodellabasilicata.it.

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