27 lug 2008

Alle scuole superiori il problema non è soltanto la matematica

L’altro ieri il ministro Maristella Gelmini ha reso noti i dati relativi alle insufficienze nelle scuole superiori per l’anno 2007/2008. La matematica emerge come la disciplina in cui i nostri ragazzi falliscono maggiormente, con il 45,7% delle sospensioni di giudizio.
Chi lavora nella scuola, però, non aveva certo bisogno di questi numeri per comprendere la portata di un problema che sta assumendo dimensioni notevoli. Il “caso matematica” è lampante e discusso da tempo nei vari consigli di classe e collegi dei docenti. Troppo spesso, però, è giudicato con chiavi di lettura banali e fuorvianti, come quelle che attribuiscono le difficoltà a una generica incapacità dei docenti, o al frequente impiego di insegnanti laureati non propriamente in matematica, ma in facoltà affini quali ingegneria, biologia, etc.
Tali valutazioni, totalmente ripiegate sui docenti della disciplina, rischiano di fornire un quadro troppo riduttivo. Non si può valutare la questione, infatti, senza considerare la struttura epistemologica della disciplina stessa e le sue sostanziali differenze con le altre materie.
La matematica, infatti, ha uno statuto didattico-epistemologico del tutto particolare, che la rende simile, in parte, a quello delle lingue “morte” studiate nei licei, il latino e il greco. E non è un caso che, specie nei licei scientifici e pedagogici, i debiti in matematica vadano spesso di pari passo con quelli in latino.
Queste materie hanno in comune alcune caratteristiche fondamentali: 1) si applicano a un campo di segni linguistici e numerici astratti e solitamente privi di significato immediato, il che rende particolarmente difficoltoso l’aspetto motivazionale; 2) richiedono un particolare ricorso al livello logico della ragione e un minore impiego di quello mnemonico; 3) richiedono un lavoro di analisi dei dati e verifica delle ipotesi di soluzione, che sono le fasi essenziali del metodo scientifico della conoscenza (anche per questo è ancora utilissimo far studiare il latino nei licei scientifici).
Non mi sembra un’eresia, perciò, affermare che sono materie “di per sé” più difficili da apprendere e, perciò, da insegnare. E tutto questo perché più delle altre “costringono” l’allievo a un reale protagonismo nella costruzione del sapere, un impegno “fino in fondo”, senza l’ausilio di particolari risorse motivazionali.
A questo punto, però, si apre un altro e più importante campo di riflessione, perché questo protagonismo nella costruzione del sapere non è l’obiettivo proprio della matematica o del latino, ma un obiettivo generale che in tutte le materie si dovrebbe perseguire.
Su questo, immagino, tutti sarebbero teoricamente d’accordo. Ma nel concreto delle realtà scolastiche le cose vanno in maniera diversa. Proviamo a chiederci, per esempio, quanti professori di filosofia hanno il coraggio di dare il debito a un allievo che studia a memoria senza un minimo di adesione personale (protagonismo!) alle grandi domande su cui la disciplina stessa si fonda? Quanti professori di storia, arte e sociologia lo fanno? Quelli di latino e matematica, per la struttura della disciplina e le modalità di valutazione (problemi e versioni con risultato “oggettivo”) sono invece costretti a farlo!
Smettiamola, perciò, di mettere troppo sotto la lente i risultati di alcune discipline specifiche! Solo così cominceremo a comprendere l’illusione di tanti docenti di storia, sociologia, etc, quando si scandalizzano di fronte al voto basso del collega di matematica o latino ed esclamano: “Ma come, con me va bene!”, confermando illusoriamente la loro presunta capacità di appassionare gli alunni.
Solo così potremo intervenire radicalmente su un sistema che fa acqua da tutte le parti (e non solo da qualche parte!), in cui chiamiamo “bravi” quelli che non lo sono, che non sanno essere realmente “protagonisti” del proprio apprendimento.
E’ emblematico, in proposito, quanto mi hanno raccontato su una commissione di esame in Puglia. Un’alunna ammessa con il massimo dei voti parla di Leopardi e specifica con rigore tutte le sue opere e le date di composizione. Un docente domanda spassionatamente: “Ma perché ti piace Leopardi”? Incredibile: l’alunna rimane a bocca chiusa! Naturalmente il 100 è assicurato comunque: “Però si vede che ha studiato!”. Giudicate voi!

Pino Suriano - www.ilquotidianodellabasilicata.it

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