27 ott 2011

Il Mastro Dimatteo e lo "sgarbo di Sgarbi": "Non dovevo essere escluso dalla Biennale"

Gaetano Dimatteo - foto Pino Suriano

NOVA SIRI - Pianto vero.  Ad un tratto, nel pieno della conversazione, la voce si arresta e comincia a singhiozzare. “Io da questa mostra non dovevo essere e – s- c- l- u – s -o”. Alla sera, intorno 20, l’ironia su Sgarbi ha già lasciato il posto alla malinconia nell’animo di Gaetano Dimatteo. Fuori piove e fa freddo. In casa, tra busti e manichini, c’è un clima quasi spettrale.
Il maestro ci accoglie con garbo, ma si vede che è provato e triste. Oppresso da una malattia per la quale sente quasi il dovere di scusarsi (il morbo di Parkinson), ma colpito soprattutto da un’esclusione che non si aspettava. E’ la triste ora dell’angoscia. “Se non foste venuti qui voi, in questo momento sarei da solo a piangere”. Quella che doveva essere un’intervista, così, diventa presto una singolare “consolatio”. Sincera. L’obiettivo è lenire la sofferenza del Maestro per il mancato inserimento nella lista dei 43 artisti lucani prescelti per la Biennale diretta da Vittorio Sgarbi.
Non è difficile trovare gli argomenti. Davanti ai nostri occhi si impone una gigantografia del Corriere della Sera. E’ una pagina culturale del 2001, che recensisce una sua personale tenuta in Germania. Maestro, ma di quei 43, quanti andranno mai sul Corriere? Suvvia, ma non crede mica che ci siano davvero 43 validi artisti in Basilicata? “Macché – risponde - ce ne sono al massimo due o tre”. I nomi? “Di sicuro Ginetto Guerricchio. Come si fa ad escluderlo? Lui, come anche Nicola Finazzola o Nicola Pavese. Quella mostra è stata concepita male, all’insegna della corruzione direi. Non mi si fraintenda su questo termine, però. Non voglio dire che qualcuno abbia pagato, ma sembra che abbiano inciso fattori di valutazione poco chiari e rispettosi delle effettive qualità. Sembra il solito sistema: io busso alla porta di Tizio, io faccio i complimenti a Caio e così via. Criteri di certo non legati a un attento studio delle opere. Mi dicono, ma non vorrei sbagliarmi, che siano stati trovati addirittura due posti per un padre e un figlio. Una famiglia talentuosa, viene da dire, o forse semplicemente ben accreditata. Penso che Vittorio Sgarbi non abbia selezionato le opere personalmente, ma abbia preso per buoni i primi nomi che qualcuno gli ha portato. Non si spiegherebbero altrimenti certe gravissime omissioni. Mi dispiace tanto anche per Luca Celano, ma come si fa? Guardi, io stimo davvero Vittorio Sgarbi. Nei giorni scorsi ho ritrovato anche una foto che mi ritrae assieme a lui in un comizio a Policoro. Quel giorno, era il 1994, la sua personalità mi colpì davvero tanto. Fui affascinato da questo ragazzo elegantissimo, con la consueta riga al lato e un cachemire di gusto. L’ho sempre seguito anche in tv. Ricordo una sua presentazione dell’opera di Michelangelo che mi emozionò tantissimo. Perciò mi chiedo: come ha fatto a fidarsi ciecamente di ciò che gli proponevano?”
Da qualche settimana Sgarbi è diventato il suo cruccio. Nel pomeriggio Dimatteo ha rinnovato la sua protesta nei confronti del critico d’arte, vestendo un manichino (lo “Sgarbino”) dileggiato. “E’ uno Sgarbi travestito da donna: il travestimento come simbolo della sua mancata sincerità nei confronti di questa Regione, alla quale dovrebbe solo chiedere scusa”. E perché? “Perché un’opportunità sfruttata male è peggio di un’opportunità non avuta. Avremmo potuto fare ben altra figura con una mostra adeguatamente allestita, suddivisa in categorie figurative, con la realizzazione (finalmente!) di un valido catalogo che collocasse adeguatamente i diversi contributi artistici dei lucani. E invece tutto questo ha il sapore dell’improvvisazione”.
La conversazione continua, tra ricordi belli e brutti. Dimatteo trova il tempo per raccontare la sua attività degli ultimi mesi. Di fronte abbiamo i suoi nuovi studi sulle Chiese di Capri, che aveva visitato nei primi anni ’80, ospite frequente della villa di Rocco Barocco. Quei quadri sono di una bellezza imponente, di cui può godere anche l’occhio inesperto. Decine di tele realizzate nel giro di poche settimane, in pieno furore creativo.
Lo “goliardata” del pomeriggio lo ha divertito, ma non gli ha tolto la tristezza. Eppure Dimatteo ha di che consolarsi. Basterebbe la poesia scritta per lui da Dario Bellezza, nel 1979, capitata per caso, ma solo il giorno dopo, tra le mani del cronista. “Per Gaetano Dimatteo” recita il primo verso. Più avanti si legge: “troppo osasti / contro il colore, mentre nuove / mode in biennali e triennali / sfiorano i poveri / umani in Italia, tu / fanatico irrealista agghiacci / il pennello di estatiche / mortuarie essenze-brandelli / di solitario destino”. Sembra scritta ieri: “le nuove mode in biennali e triennali” (degli altri), il “solitario destino” (suo). La consolazione più bella l’aveva già scritta il suo amico Dario. Trentadue anni fa. 
Pino Suriano - pubblicato sul Quotidiano del 25 ottobre 2011

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