7 feb 2010

Una speciale giornata della Memoria a Colobraro


Gli alunni hanno ricordato il sacrificio di Massimiliano Kolbe con il vescovo Nolè

COLOBRARO – Quel giorno, nel campo di concentramento di Auschwitz, le guardie avevano selezionato dieci detenuti. Dovevano essere rinchiusi nel cosiddetto “bunker della morte”, senza acqua e cibo, dove sarebbero morti di fame in pochi giorni.

Qualche giorno prima un prigioniero del campo aveva tentato di evadere. E le guardie, per evitare altri simili tentativi, avevano deciso di ammonire i prigionieri con una punizione dura ed esemplare.

Francesco Gajowniczek, uno dei dieci prescelti per il bunker, cominciò a piangere e a urlare a squarciagola. Implorava di essere salvato per pietà della famiglia che lo attendeva a casa.

All’improvviso, dalla folla dei detenuti, si alzò una mano. Era un uomo poco più che quarantenne, uno dei tanti prigionieri, numero di matricola 16670. Fece una proposta che a tutti sembrò impensabile: sarebbe entrato lui nel bunker, al posto di quel padre di famiglia. Le guardie accettarono, la vita di Gajowniczek fu salva.

Quindici giorni dopo, in quel bunker senza acqua e cibo, l’uomo era ancora vivo. Fu ucciso insieme ad altri prigionieri con un’iniezione di acido fenico. Era il 14 agosto 1941. Quell’uomo si chiamava Massimiliano Kolbe, sacerdote polacco. Nel 1981 sarebbe diventato san Massimiliano Kolbe, canonizzato dal suo connazionale Giovanni Paolo II, che lo definì quel giorno “martire della carità”. Alla cerimonia era presente anche Gajowniczek, l’uomo salvato dal suo sacrificio e poi scomparso nel 1995.

Se non avesse compiuto quel gesto, forse, oggi sarebbe ricordato come uno dei tanti numeri di matricola scomparsi in quel campo. E invece la sua vita, pur nella normalità dei gesti quotidiani, era già tutta piena di quella energia e di quella passione per l’uomo che lo avrebbero reso capace di un dono così grande. Padre Kolbe era un uomo vivo, ardentemente appassionato e intimamente legato ai rapporti umani. Amava intensamente i compagni del suo ordine religioso, era socievole e gioioso. E, soprattutto, sapeva perdonare. Sempre serio, ma mai pieno di livore verso chi si mostrava incapace di rispettare le regole del collegio. “Bisogna pregare per i peccatori”, diceva sempre.

Di queste ed altre testimonianze sulla sua vita si è fatto portavoce monsignor Francesco Nolè, vescovo della diocesi di Tursi-Lagonegro, nell’ambito di un incontro organizzato presso i locali scolastici di Colobraro, sezione staccata dell’Istituto Comprensivo Isabella Morra di Valsinni, in occasione della Giornata della Memoria.

A chiamarlo in causa è stata la professoressa Giovanna Tarantino, insegnante di storia della scuola secondaria di primo grado. Felice la scelta del vescovo, che nella sua interessante relazione ha voluto soffermarsi, in rapporto all’uditorio di studenti, sull’esperienza giovanile del santo.

Prima della relazione del vescovo erano intervenuti, per un saluto introduttivo, il dirigente scolastico Giovanna Modarelli e il sindaco di Colobraro Andrea Bernardi.

La chiusura dell’evento è stata affidata agli alunni della scuola, che hanno messo in scena una danza scenica, rappresentazione simbolica della sofferenza degli ebrei. La serata si è conclusa con la lettura, sempre da parte dei ragazzi, delle testimonianze dei detenuti del Block 14, quello in cui era rinchiuso Massimiliano Kolbe. E’ stato un modo nuovo, bello e sorprendente di richiamare una memoria storica, spesso ridotta, anche nelle scuole, a formale e disinteressata ritualità celebrativa. Alle orecchie dei ragazzi è arrivata una notizia: anche nel luogo più atroce, simbolo del male e della bestialità dell’uomo, è stato possibile un atto così grande e bello. Senza una cosa bella da raccontare, del resto, che “Memoria” sarebbe?


Pino Suriano - scritto per Il Quotidiano della BAsilicata
La foto è tratta dal sito www.miliziaimmacolata.it

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