7 dic 2009

Falcone: concluso il processo di appello. Adesso si attende il verdetto

ROTONDELLA – Quindici o venti giorni al massimo. Tanti sono i giorni che dovranno passare prima che Angelo Falcone conosca la sua sorte. Quella di assoluzione o quella, spaventosa, di una condanna a 20 anni di prigione, richiesta dalla pubblica accusa indiana. Si è concluso l'altro ieri il Processo di Appello che vede coinvolto il 29enne piacentino di origini lucane, già condannato in primo grado a dieci anni per possesso e spaccio di sostanze stupefacenti.

Per il processo sono bastati appena due giorni. Nulla a che vedere con i tempi biblici della giustizia italiana. Tutto risolto in un paio di incontri tra il giudice e gli avvocati delle due parti, senza neppure la presenza degli imputati. “In India funziona così” spiega Giovanni Falcone, padre di Angelo.
Eppure, in quegli incontri messi in calendario per il 26 e il 27 novembre scorso, le parti si sono sfidate apertamente, con accuse reciproche e veementi botta e risposta. La difesa ha messo in campo tutte le sue tesi, atte a dimostrare l’irregolarità dell’azione di polizia che, nella notte del 9 marzo 2007, condusse in cella Angelo, il suo amico Simone Nobili e altri presunti complici di nazionalità indiana.

L’arresto di Angelo sarebbe stato un vero e proprio complotto per estorcere soldi a cittadini stranieri. A dimostrarlo, sempre secondo la difesa, l’evidente manomissione dei sacchetti in cui i poliziotti dichiararono di aver rinvenuto gli stupefacenti. Portati in aula su richiesta del giudice, i sacchetti sono stati controllati da un perito del tribunale, che ha rilevato la presenza di cuciture artificiali e successive alla data dell’arresto. Un modo per evitare i danni prodotti dalle tarme, secondo l’accusa e i poliziotti. Un modo per contraffare i sacchetti e cambiarne il contenuto, secondo la difesa. La perizia, secondo il racconto di Giovanni Falcone, avrebbe rilevato su un lato la presenza di tarme, mentre dall’altro una scucitura più evidente e dubbia.

Nel corso delle sedute dei giorni scorsi si è discusso anche dell’altra grande questione controversa relativa all’arresto. I giovani sono stati arrestati nell’ambito di un posto di blocco stradale, come dichiarato dalla polizia, oppure in un appartamento privato che avevano fittato, come hanno sempre sostenuto gli imputati? A sostegno di quest’ultima tesi, la difesa ha portato una prova interessante. Il passaggio dell’auto della polizia, che avrebbe dovuto oltrepassare un posto di blocco con obbligo di registrazione, non risulta registrato in nessun verbale o documento ufficiale. Quell’auto, insomma, formalmente non sarebbe mai passata da quelle parti. Tra gli argomenti della difesa anche quello, non privo di rilievo, relativo ai numerosi altri casi di denunce contraffatte da parte della polizia indiana. L’estorsione sarebbe un “vizietto” non proprio infrequente negli ambienti delle forze dell’ordine, come dimostrerebbero anche altre sentenze indiane, con non poche analogie rispetto al caso in questione. Cosa deciderà il giudice indiano? A questo punto non resta che attendere.

Pino Suriano - articolo pubblicato su Il Quotidiano della Basilicata

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