15 feb 2009

Craco: la lezione di due missionari


Gabriele e Paolo non fanno gli "eroi missionari". Ma parlano di sè


CRACO – Qual è la cosa più sorprendente che ci si possa attendere da un incontro pubblico con due missionari impegnati in luoghi difficili come la Siberia e il Messico? Che parlino poco o nulla della missione e tanto del loro incontro con il cristianesimo. Non in chissà quale eroico contesto ai confini del mondo, ma semplicemente tra i banchi di scuola.

E’ la traiettoria inattesa, ma bella e sorprendente, su cui si è sviluppato l’incontro svoltosi venerdì sera a Craco, presso i locali della scuola media. Don Gabriele e Paolo (medico e futuro sacerdote) hanno rispettivamente 31 e 28 anni. Il loro volto da ragazzi semplici quasi contraddice quel senso di certezza che trapela da ogni parola con cui raccontano la propria vita. Una vita che hanno deciso di offrire alla missione in tutto il mondo nel servizio alla Fraternità Missionaria San Carlo Borromeo.

Li ha invitati a Craco don Franco Laviola, assieme a un gruppo di amici da sempre attivi nell’animazione culturale e sociale del piccolo centro. E per ascoltarli è giunto anche monsignor Salvatore Ligorio, arcivescovo della diocesi di Matera-Irsina, dimostrando una non scontata attenzione pastorale per il territorio e la sua piccola, ma preziosa, esperienza di fede.

Gabriele e Paolo sono amici e si vede subito. Vivono in punti opposti del pianeta, ma l’appartenenza a un’ideale comune li rende uniti in mondo lampante. Perché una scelta del genere? “Io desideravo quello che tutti desiderano: essere contento”. Spiazza tutti, don Gabriele, quando, anziché accennare alla Siberia, comincia a parlare della propria adolescenza e degli anni del liceo. Dopo la Prima Comunione aveva totalmente abbandonato la Chiesa: troppo rituale, dogmatica e poco interessante per rispondere al suo umanissimo desiderio di felicità. “Quel desiderio, però, è rimasto, e io non ho smesso di cercare”. E dopo anni, molti dei quali spesi nell’illusione di poter esser contento facendo giustizia nel mondo (“avevo addirittura fatto arti marziali per potermi difendere dagli ingiusti”) la scoperta che “non bastano giustizia e vendetta per far felice un uomo”.

E poi quella che lui chiama “grazia”, eppure è un fatto umanissimo: l’incontro a scuola con l’insegnante di religione e con amici che lo avrebbero colpito “semplicemente per la loro umanità”. “Per come studiavano, affrontavano tutto e non avevano paura. Erano così perché erano cristiani”. Dire di no a loro, e all’origine di ciò che erano, sarebbe stato come negare un’evidenza: quell’umanità era più vera e autentica della sua (in fondo triste e “alla ricerca”) e pienamente corrispondente a quel “desiderio di esser contento” che mai lo aveva abbandonato.

E la missione? E’ già tutta lì. In quel sì a un’umanità più vera, che trasforma la vita e la conduce ai confini del mondo, fino alla freddissima Siberia. “Perché un prete, o il più grande eroe, non sarebbe tale se non fosse innanzitutto un uomo”.

Si intitola proprio così, “Innanzitutto uomini”, il libro di Marina Corradi, giornalista di Avvenire, che l’editore San Paolo ha dato alle stampe nel 2007. Racconta la vita di Gabriele e di altri quattordici giovani sacerdoti lanciati nella straordinaria avventura della missione. “Non sono dei bambini – scrive l’autrice dell’introduzione - o degli illusi, o dei pii volontari arruolati nelle fila di un buonismo altruista. Ma degli uomini che la vocazione ha reso più maturi, generosi e capaci di coraggio”. Uomini, aggiungiamo noi riprendendo Gabriele, che non hanno rinunciato alla cosa più interessante della vita: essere contenti.


Pino Suriano - Il Quotidiano della Basilicata

1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Pino,
semplicemnte complimenti per l'articolo e la profondità del tema che hai portato all'attenzione dei lettori, il quale deovrebbe aprire una seria riflessione sulla nostra esistenza.
Un passante anononimo che non partecipa alle altre discussioni sui pettegolezzi politici.
In bocca al lupo.