Inchiesta dopo la vicenda del giovane intossicato
POLICORO – Ha fatto discutere la vicenda del giovane giunto in fin di vita per overdose di metadone, salvato dai medici di Rianimazione e Cardiologia dopo 72 ore di lotta contro la morte.
Ha fatto discutere perché molti, oltre a elogiare il buon operato dell’equipe medica, si sono chiesti dove il ragazzo avesse potuto reperire tali quantitativi del farmaco.
E’ noto, infatti, che il metadone non è una comune droga tra quelle proibite. Si tratta, al contrario, di un oppiode utilizzato a scopo terapeutico per liberare gradualmente i pazienti da dipendenza di droghe più pesanti. Non è generalmente commerciato sul mercato nero della droga, ma legalmente fornito presso i Sert (Servizi per le Tossicodipendenze), con dosaggio stabilito sulla base di indicazioni terapeutiche.
Poco da meravigliarsi, perciò, se si è ipotizzato che l’evento fosse dipeso da negligenza medica. “Se c’è un medico che lo ha salvato - avrà pensato più di qualcuno - c’è n’è anche uno che lo ha affossato con un dosaggio sbagliato”.
Ci tiene a fugare il dubbio la dottoressa Maria Franca Rina, responsabile medico del Sert di Policoro, e assicura che “il ragazzo, già da qualche tempo, non frequentava più quella struttura”. Dove avrà preso, allora, tutto quel quantitativo? “Questo non posso saperlo con certezza – spiega – ma posso supporre che lo abbia acquistato al mercato nero della droga”. Rina non rinuncia, inoltre, a un giudizio complessivo sul farmaco: “Di metadone non è mai morto nessuno. Una scarsa chiarezza su eventi del genere rischia di criminalizzare un farmaco utilizzato a scopo terapeutico, con cui si salva la vita di tante persone”. La dottoressa, anzi, dubita addirittura del fatto che un simile collasso possa essere stato causato dalla sola assunzione di metadone. “E’ probabile che il giovane lo abbia associato all’assunzione di qualche altra sostanza, come l’alcool”.
Non conferma l’ipotesi il dottor Paolo Panetta, primario del reparto di Rianimazione, tra i principali artefici della brillante operazione medica: “La diagnosi ha rilevato esclusivamente tracce di metadone – spiega – ma assunte in quantitativi superiori di almeno cinque o sei volte rispetto a quelli giornalieri forniti dai Sert”.
Sul reperimento dell’oppiode, però, Panetta ha un’ipotesi forse più interessante: “Credo che lo abbia acquistato in nero dagli stessi frequentatori del Sert. A loro viene fornita una dose giornaliera, e talora un razionamento settimanale. E’ possibile che alcuni non lo usino per sé e preferiscano venderlo ad altri”.
Ma perché avrebbe scelto il metadone, anziché fornirsi di una droga più pesante? “Si tratta di una persona che aveva frequentato precedentemente il Sert, ma poi aveva smesso. Forse, in una situazione di disagio, avrà pensato di acquietarsi con quel farmaco, senza essere attento al dosaggio. Il metadone, infatti, a differenza di altre droghe più pesanti, offre una sensazione di apparente sollievo più duratura, circa 24 ore. Una persona uscita dalla dipendenza potrebbe concepirla come un sostituto ideale di altre droghe, pur privo delle opportune indicazioni mediche”.
Sulla vicenda gli operatori di rianimazione e cardiologia realizzeranno una pubblicazione. Finirà dunque nella letteratura medica, per i suoi aspetti di originalità, questo caso sfortunato (ma fortunato nell’esito finale!) e in parte ancora da chiarire.
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