Pubblico di seguito le mie considerazioni sulla vicenda del papa alla Sapienza, pubblicate sulla Tribuna del Quotidiano lo scorso 24 gennaio.
Gentile direttore,
desidero esprimere qualche considerazione sulla mancata visita del papa alla Sapienza e sulla sagra del “commento indignato” che si è scatenata sulla vicenda. Quella sagra tipicamente italiana per cui tutti gridano e straparlano, ma quasi nessuno centra le questioni di fondo.
Non lo fanno tanti cattolici (bisogna ammetterlo) quando gridano all’illibertà e ricordano che il papa ha parlato addirittura in Turchia e non può farlo in Italia. E’ argomento strumentale e lo sanno pure i bambini: il papa parla tranquillamente in Italia (e nelle tv italiane) quasi tutti i giorni.
Ancora peggio (sempre i cattolici) quando sostengono che “i quattro gatti” della Sapienza non possono imporre il loro parere a una maggioranza ben più larga. Bella cultura della democrazia (e tanto poco cattolica), quella secondo cui le sole maggioranze hanno potere decisionale! La dottrina cattolica (lo ha ricordato più volte il papa stesso) propone un senso della democrazia ben più autentico, fatto di pluralismo e libertà di espressione. Perciò quei 67 professori, fossero anche solo due gatti, devono poter esprimere il proprio parere. E’ il principio su cui fonda, tra le altre cose, la stessa libertà religiosa in uno stato laico.
Anzi, il fatto che 67 professori esprimano pubblicamente un’idea di scienza, di verità e di cultura non può che far bene all’Università del nepotismo, dell’erudizione e del “bastachepubblicoqualcosa”. L’espressione dichiarata di una matrice culturale, infatti, può contribuire a riaccendere quel sopito clima di dialogo tra le posizioni culturali, che è fondamento stesso della ricerca universitaria.
E’ proprio questo il terreno su cui voleva scendere (e comunque lo ha fatto) papa Benedetto: provare a discutere un’idea autentica di ricerca della verità e del bene comune. Un’idea di scienza e di cultura fatta per l’uomo, e non contro di lui.
Cosa c’è di più universitario di questo, cosa di più umano? Ecco, perciò, l’errore di quei professori! Che è errore di pregiudizio, quel pregiudizio secondo cui dal cattolicesimo (e da questo papa in particolare) non possano che nascere posizioni dogmatiche e antiscientifiche.
Pregiudizio infondato: questo non lo sapranno i bambini, ma tutti quelli che con un po’ di lealtà hanno studiato la storia culturale dell’Europa e con onestà intellettuale ascoltano le parole di questo papa. Un papa che scende, senza timori di sorta, nell’agone politico e culturale. Un papa che non ha paura di esprimere e verificare i suoi ideali, come aveva fatto, peraltro, il suo predecessore.
Un papa, insomma, che più di altri esemplifica ciò che l’Università dovrebbe essere. Il cattolicesimo italiano (spesso culturalmente invisibile proprio nelle scuole e nelle università) dovrebbe guardarlo con più attenzione. Imparerebbe anche a reagire: partendo dalle ragioni e non più dall’indignazione reattiva, che è motore politico di ben altre ideologie che tanto danno hanno fatto alla Chiesa stessa.
Gentile direttore,
desidero esprimere qualche considerazione sulla mancata visita del papa alla Sapienza e sulla sagra del “commento indignato” che si è scatenata sulla vicenda. Quella sagra tipicamente italiana per cui tutti gridano e straparlano, ma quasi nessuno centra le questioni di fondo.
Non lo fanno tanti cattolici (bisogna ammetterlo) quando gridano all’illibertà e ricordano che il papa ha parlato addirittura in Turchia e non può farlo in Italia. E’ argomento strumentale e lo sanno pure i bambini: il papa parla tranquillamente in Italia (e nelle tv italiane) quasi tutti i giorni.
Ancora peggio (sempre i cattolici) quando sostengono che “i quattro gatti” della Sapienza non possono imporre il loro parere a una maggioranza ben più larga. Bella cultura della democrazia (e tanto poco cattolica), quella secondo cui le sole maggioranze hanno potere decisionale! La dottrina cattolica (lo ha ricordato più volte il papa stesso) propone un senso della democrazia ben più autentico, fatto di pluralismo e libertà di espressione. Perciò quei 67 professori, fossero anche solo due gatti, devono poter esprimere il proprio parere. E’ il principio su cui fonda, tra le altre cose, la stessa libertà religiosa in uno stato laico.
Anzi, il fatto che 67 professori esprimano pubblicamente un’idea di scienza, di verità e di cultura non può che far bene all’Università del nepotismo, dell’erudizione e del “bastachepubblicoqualcosa”. L’espressione dichiarata di una matrice culturale, infatti, può contribuire a riaccendere quel sopito clima di dialogo tra le posizioni culturali, che è fondamento stesso della ricerca universitaria.
E’ proprio questo il terreno su cui voleva scendere (e comunque lo ha fatto) papa Benedetto: provare a discutere un’idea autentica di ricerca della verità e del bene comune. Un’idea di scienza e di cultura fatta per l’uomo, e non contro di lui.
Cosa c’è di più universitario di questo, cosa di più umano? Ecco, perciò, l’errore di quei professori! Che è errore di pregiudizio, quel pregiudizio secondo cui dal cattolicesimo (e da questo papa in particolare) non possano che nascere posizioni dogmatiche e antiscientifiche.
Pregiudizio infondato: questo non lo sapranno i bambini, ma tutti quelli che con un po’ di lealtà hanno studiato la storia culturale dell’Europa e con onestà intellettuale ascoltano le parole di questo papa. Un papa che scende, senza timori di sorta, nell’agone politico e culturale. Un papa che non ha paura di esprimere e verificare i suoi ideali, come aveva fatto, peraltro, il suo predecessore.
Un papa, insomma, che più di altri esemplifica ciò che l’Università dovrebbe essere. Il cattolicesimo italiano (spesso culturalmente invisibile proprio nelle scuole e nelle università) dovrebbe guardarlo con più attenzione. Imparerebbe anche a reagire: partendo dalle ragioni e non più dall’indignazione reattiva, che è motore politico di ben altre ideologie che tanto danno hanno fatto alla Chiesa stessa.
Pino Suriano
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