22 ago 2011

Intervista a Debra Granik, regista candidata a 4 Premi Oscar


La regista americana folgorata dalle bellezze della Lucania

C’è un’esperienza che noi europei non possiamo comprendere del tutto. Neppure riusciamo a immaginarla, forse. E’ quella di chi nasce e cresce in una nazione giovane, dove l’antico non si trova per strada, dove non si possono ammirare l’imponenza di un Colosseo e la sacralità affascinante di un tempio greco e neppure una realizzazione più unica che rara come i Sassi di Matera. Per chi non ci è “nato dentro”, tutto questo risulta nuovo, sorprendente. Esprimono questa novità le parole e il volto stupito della regista statunitense Debra Granik (4 candidature all’Oscar per il suo ultimo film “Winter’s Bone - Un gelido inverno”), dopo i suoi primi giorni in Basilicata per la tappa lucana di Cinemadamare: “Le persone che vengono da un paese giovane non riescono a immaginare luoghi così strani nella loro forma. Viene subito la voglia di girare qui un film antico”.
C’è la potenza di questo impatto all’origine dello stupore di Debra. Una che, per “de-formazione” professionale, le cose sa guardarle, scrutarle, “leggerle”. Ne ha parlato in una breve ma intensa conversazione con Il Quotidiano, a margine della conferenza stampa sul tour di Cinemadamare nei comuni del metapontino. Le sue prime parole sulla Basilicata riguardano i Sassi di Matera, visitati il giorno prima: “E’ un luogo che mi ha stupito ed ha acceso in me tante domande. Mentre la mia traduttrice mi parlava, io continuavo a chiedermi: ma come hanno fatto a fare tutto questo? come è stato possibile? quanti sforzi, quanti sacrifici ci sono voluti? Guardavo i luoghi e immaginavo la fatica degli uomini che li hanno vissuti. Attraverso quelle pietre ho visto la loro forza d’animo”.
I suoi film, del resto, hanno sempre portato uno sguardo attento alle dinamiche dei più deboli. Come l’ultimo, “Un gelido inverno”, che ha convinto la critica, oltre che il pubblico: premio per il Miglior Film al Torino Film Festival del 2010 e ben 4 candidature agli Oscar 2011. Una trama tipicamente americana, di sguardo alla sofferenza, al dolore e al sacrificio, vinto, però, dalla speranza e dall’ottimismo. “Io racconto sì il dolore, ma per raccontare la speranza di potercela fare”.
Nella tradizione culturale europea spesso è diverso: eroismo e ottimismo non bastano di fronte a un fato crudele che esce vincitore. E’ la tendenza che prevale, sin dai tempi della tragedia greca. Si passa così a parlare in libertà della letteratura europea. Viene da chiedere cosa abbia letto in merito. Lei dice di aver divorato soprattutto “la letteratura tedesca del dopoguerra, e, ovviamente, parlando una lingua anglofona, anche tanta letteratura britannica e in particolare scozzese”. Quando le chiediamo il suo classico europeo preferito, Debra ha subito un titolo pronto. “Il Don Chisciotte di Cervantes” dice con decisione.
Si potrebbe pensare che dell’Italia conosca, come molti, solo pizza e mafia. E invece ci sorprende. A Debra sono note “le vicende degli scioperi in Fiat e del movimento operaio degli anni ‘60”. La sorpresa continua sulla letteratura. Cosa ha letto? Né Dante, né Manzoni. “Amo molto Antonio Gramsci e il movimento culturale che si è creato attorno a lui”. Il discorso si fa intenso: il tema centrale sono i deboli, gli svantaggiati. Si arriva a parlare Manzoni, che non ha letto, ma accetta con piacere il consiglio di farlo. “Merita di essere letto, se i deboli vincono sui potenti per il loro desiderio”. E chissà che non ne nasca l’idea per un film. Si arriva così al cinema. Quello italiano, in particolare. Per lei significa anzitutto Neorealismo.
Si finisce con le grandi questioni, con una domanda sulla concezione dell’esistenza. Ci si aspetterebbe una risposta sui massimi sistemi e sulla religione, ne arriva una sui prodotti biologici. “Sono pagana – risponde di getto – amo la natura e tutto quello che offre. Per questo amo l’alimentazione naturale, e mi fa piacere che in Italia ci siano iniziative alimentari che valorizzano il biologico”. Le facciamo notare che le abbiamo fatto una domanda sulla “concezione” della vita e lei ha risposto parlando dello “stile” di vita. Per noi è un bonario appunto, lei lo prende come un complimento. “Yes, it’s the same”. Forse è un’altra delle tante differenze di mentalità tra i pragmatici Stati Uniti e la buona, vecchia, speculativa Europa. In fondo non ci dispiace.
Pino Suriano - pubblicato sul Quotidiano della Basilicata del 21 agosto 2011

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