Don Salvatore De Pizzo e Graziella Larocca |
POLICORO - Bisognerebbe
entrare nel cuore di tutti quelli che camminano, penetrare nei loro desideri e
nelle ansie di quel momento. Bisognerebbe
conoscere ciò che ciascuno ha ricevuto o perso negli ultimi mesi, i suoi dieci
o cento motivi per chiedere o dire “grazie”.
Solo così si
coglierebbe tutto il "pieno" di umanità di un pellegrinaggio semplice
e bello come quello che va da Policoro ad Anglona organizzato dalla Parrocchia
Buon Pastore di Policoro a vent’anni dalla prima edizione.
E' facile, per chi non
ci crede, banalizzare un pellegrinaggio come un gesto di irrazionalità
devozionistica. Ma cosa c'è di più naturale di un uomo che ha qualcosa da
chiedere? Cosa c'è di più serio, se per qualcosa è disposto a muoversi, a
faticare, alzarsi alle tre del mattino e stare sulla strada per almeno cinque
ore, anche se si hanno più ottant'anni e si riesce a malapena a camminare? Cosa c'è di più eroico?
Se non ci fosse stata
questa molla potente e profondamente umana (“l'istinto di preghiera”,
antichissimo e connaturato nell'uomo) difficilmente
avrebbe retto una tradizione come quella avviata da don Salvatore De Pizzo e
dai suoi parrocchiani.
Cambiano le
generazioni, ma deve essere commovente, per questo sacerdote ultrasettantenne,
vedere all'alba i volti di tanti giovani che venti anni fa, quando tutto è cominciato,
ancora non c’erano. Ma è
bello vedere anche i tanti seguaci storici, che non vogliono rinunciare,
neppure per un anno, a toccare il velo dell'amatissima Vergine di Anglona,
oggetto di una devozione sempre più ampia e tenera.
Sempre di aiuto è la
guida di don Salvatore, spesso scherzoso ma sempre pronto a indicare la meta.
"Tutto diventa più bello quando si ha la stessa meta". Ed è dolce la voce della signora Graziella
Larocca, quando canta la canzone della Madonna Curr curr a La Cappella, quando la
generosità della famiglia Tucci apre la propria casa ai piedi del Santuario per
accogliere i pellegrini con una genuina colazione. Ma tutto, davvero tutto
sgorga di umanità in questo gesto, compresi i canti. "C'è che spera
Signor, vieni a Noi", si è cantato più volte sabato mattina. Il fatto che ancora qualcuno speri e che per quella
speranza sia pronto a fare strada e fatica, a venti o a settant'anni, è il
segno che non tutto è perduto in questi tempi di incertezza e sbaraglio. Lunga
vita al pellegrinaggio, che ogni anno, come il vino di qualità, diventa sempre
più buono.
Pino Suriano - scritto per Il Quotidiano della Basilicata
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